La vecchiaia
Si consiglia, durante la lettura, l’ascolto del brano Tutto ‘l dì piango di Luca Marenzio:
Padova e Milano (1361-1362)
Nel gennaio del 1361 il poeta si reca a Parigi in qualità di ambasciatore della famiglia Visconti per ottenere la liberazione di re Giovanni II, in quest’occasione pronuncia una pregevole orazione sulla fortuna, la Collatio coram domino Joanna Francorum rege (Parigi). Nel giugno del 1361, da Milano Petrarca si reca a Padova per fuggire dalla peste ma nonostante ciò, il poeta mantiene dei rapporti solidi con Galeazzo Visconti, signore di Milano.
È infatti evidente la sua volontà di rimanere attivo anche politicamente tra i due maggiori centri di potere dell’Italia del tempo, ossia Milano e Venezia. A Padova soggiorna nella casa presso la cattedrale che gli spetta di diritto in qualità di canonico e di tanto in tanto si reca nella vicina Venezia. Sul finire del 1361 il poeta riprende a lavorare al De vita solitaria e decide di dare inizio a una nuova serie di lettere, le Seniles.
Risale proprio a questi anni una lettera indirizzata ad un amico (Guglielmo da Pastrengo) in cui egli scrisse che, sebbene stia invecchiando con serenità, la sorte gli sta riservando delle sofferenze, come la morte del figlio Giovanni. Inoltre Petrarca esprime nuovamente la volontà di recarsi a Valchiusa per condurre una vita di isolamento completo, ma le guerre in corso soprattutto nella Lombardia occidentale glielo impediscono. Nonostante ciò, questi conflitti, a cui di certo egli non è favorevole, gli permettono di vivere in solitudine anche sulle rive dell’Adriatico. Sempre in questo periodo, il cardinale Talleyrand e il pontefice gli offrono un posto come segretario apostolico ad Avignone, ma Petrarca rifiuta raccomandando i due suoi più cari amici: Giovanni Boccaccio e Francesco Nelli. Dopo un breve viaggio a Milano per il reperimento di notizie per il De vita solitaria su S. Pier Damiani torna a Padova e sul finire dell’estate del 1362 si trasferisce a Venezia in cerca di maggiore tranquillità.
Venezia (1362-1363)
La casa che gli è offerta dalla Repubblica è il Palazzo Molin, che sorge con le caratteristiche due torri sulla riva degli Schiavoni e si affaccia sul porto, in cambio della donazione, alla morte, della sua biblioteca, che certamente in quel momento è la più grande d’Europa tra quelle private e che lui vuole inizialmente unire a quella di Boccaccio: si tratta del primo progetto di bibliotheca publica.
E’ dunque su questo scenario che si aprono le Senili, interamente dedicate a Nelli il quale viene soprannominato dal poeta “Simonide”. Tra le Familiari e queste ultime epistole non c’è un vero e proprio distacco, entrambe iniziano infatti con un compianto per le vittime della peste; le Senili presentano inoltre sia accenti più reali e storici, che creano uno sfondo ricco di pathos, sia tratti di riflessione e pensosità.
Nel gennaio del 1363 Petrarca riceve l’offerta da Papa Urbano V di diventare segretario papale, ma il poeta, non volendo far ritorno ad Avignone, raccomanda l’amico Francesco Bruni con una lettera, il quale ottiene l’incarico pochi mesi dopo. Durante il soggiorno veneziano Petrarca riceve una visita di Boccaccio nel 1363, che si trattiene per tre mesi, durante i quali studiano insieme le traduzioni di Omero di Leonzio Pilato. Come nuovo copista, sceglie il giovane Giovanni Malpaghini, a cui affida la trascrizione delle Familiares e del Canzoniere.
Venezia e Pavia (1364-1366)
Durante i primi mesi del 1364 Petrarca festeggia a Venezia la vittoria sui rivoltosi di Creta. Successivamente, per curarsi da un attacco di scabbia si reca a Padova, incapace di lavorare ed esausto per le cure. Solamente nel marzo del 1365 Petrarca può fare ritorno a Venezia e termina il De vita solitaria. In seguito riparte per Pavia per un periodo di soggiorno per poi tornare nuovamente a Venezia nel 1366. Pochi giorni dopo, un attacco violento mosso alla sua cultura, alla sua attività poetica e alla sua figura da quattro filosofi averroisti è l’occasione per la stesura del De Ignorantia, un’opera strutturata su un dialogo con l’amico Donato Albanzani. L’inizio è costituito dalla spiegazione dell’opinione di alcuni suoi amici, fino ad arrivare poi a una profonda chiarezza nelle convinzioni del Petrarca: la difesa della filosofia umanistica fondata sulla cultura classica e mediata dal cristianesimo; l’importanza del soggetto nella poesia; l’impossibilità di conoscere i piani di Dio. L’autore si pone quindi in contrasto con la filosofia di Aristotele e dell’aristotelismo, definita da lui falsa e arrogante in quanto è soltanto in grado di riconoscere i particolari, ma non l’unicità di Dio, per sostenere invece la conoscenza vera e umile finalizzata alla felicità con Dio. Nella conclusione vengono infine citati i maggiori esponenti di questa filosofia morale (Cicerone, Seneca, Orazio, Platone, Sant’Agostino e San Paolo), la cui difesa trova il suo culmine solo con la preservazione della poesia, dell’eloquenza e della ragione sulle passioni. Amareggiato però per l’indifferenza dei veneziani davanti alle accuse rivoltegli, Petrarca decide di annullare la donazione della sua biblioteca alla Serenissima. Nel novembre del 1366 lascia Venezia per andare a Pavia, dove spedisce la prima lettera ad Urbano V per pregarlo di riportare la sede papale da Avignone a Roma.
Padova, Pavia e Venezia (1367-1369)
All’inizio dell’anno Petrarca è di nuovo a Venezia con la figlia e la nipote e poi si sposta a Padova con l’assistente Giovanni Malpaghini. In marzo apprende con gioia che il Papa ha deciso di trasferire tutta la curia papale a Roma. Sempre a Padova però l’assistente comunica inaspettatamente a Petrarca che non vuole più lavorare per lui e scappa dalla città. Il poeta ritroverà l’assistente solo qualche mese dopo a Pavia, soccorso da amici che l’hanno trovato in stato pietoso. Dopo questo fatto il Malpaghini ritorna a lavorare per Petrarca ma non gli vengono più affidati lavori importanti. All’inizio del 1368 ritornano entrambi.
Nel luglio del 1368, Petrarca si stabilisce Padova, accogliendo così l’invito dell’amico Francesco da Carrara. Questa scelta, nonostante la continua ammirazione verso Venezia e Milano, ha probabilmente un’origine politica: il poeta continua a sognare un’Italia sotto il potere di un unico signore e non divisa in tante signorie. Qui gli viene donata una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui Colli Euganei, dove poter vivere e lavorare in pace, in cambio della dedica del De viris illustribus, fino ad allora iniziato ma mai finito dal poeta. Sul finire dell’anno riceve una lettera di Coluccio Salutati che lo invita a recarsi a Roma in visita dal Papa.
Arquà (1370)
All’inizio del 1370 Petrarca si trasferisce ad Arquà e stila il proprio testamento materiale, indicando le chiese nelle quali vorrebbe essere seppellito e i suoi eredi. Poco dopo parte per Roma, che tuttavia non raggiunge mai. È infatti colpito da una sincope mentre si trova in viaggio a Ferrara e ne è quasi ucciso. Rimane costretto a letto per parecchio tempo e solamente a metà giugno ritorna ad Arquà. Qui gli giunge la triste notizia che il Papa si sta preparando a tornare in Francia spinto dai cardinali e che la sua decisione sia addirittura irrevocabile. Petrarca rinuncia così a scrivere al pontefice un’ulteriore lettera e rimane convalescente ad Arquà.
Arquà e Padova (137o-1372)
All’inizio del 1370 Petrarca si trasferisce ad Arquà e stila il proprio testamento materiale, indicando le chiese nelle quali vorrebbe essere seppellito e i suoi eredi. Poco dopo parte per Roma, che tuttavia non raggiunge mai. È infatti colpito da una sincope mentre si trova in viaggio a Ferrara e ne è quasi ucciso. Rimane costretto a letto per parecchio tempo e solamente a metà giugno ritorna ad Arquà. Qui gli giunge la triste notizia che il Papa si sta preparando a tornare in Francia spinto dai cardinali e che la sua decisione sia addirittura irrevocabile. Petrarca rinuncia così a scrivere al pontefice un’ulteriore lettera e rimane convalescente ad Arquà.
All’inizio del 1371 Urbano V muore, mentre Petrarca rimane fra Padova e Venezia. Anche in questo periodo la vita di Petrarca è comunque piuttosto dinamica, infatti egli alterna soggiorni nella sua amata casa di Arquà, dove viene raggiunto dalla figlia Francesca nel 1371, e in quella vicina al Duomo di Padova, sempre in compagnia dei suoi più cari amici. Tra questi è opportuno ricordare Lombardo della Seta il quale dal 1367 ha sostituito Malpaghini nel compito di copista e segretario del poeta laureato. Sempre nel 1371 scoppia la guerra fra Padova e Venezia e fra il 1371 e il 1372 Petrarca si dedica all’aggiunta di 54 componimenti ai già 300 presenti nel Canzoniere e revisiona i Triumphi mentre è costretto a rimanere a Padova per la propria sicurezza.
Arquà (1373-1374)
All’inizio del 1373 la guerra si concluse e Petrarca può fare ritorno alla propria casa ad Arquà. Scrive in seguito un trattato sul governo dei principi per Francesco da Carrara e viene inviato a Venezia in missione diplomatica. In questo periodo riceve un’accorata lettera da parte di Boccaccio nella quale questi gli fa dono di una copia del Decameron e lo invita al riposo. Petrarca e Boccaccio continuano a tenere vivo il loro rapporto di amicizia e di grande stima, tanto che è proprio la lettera del primo in risposta a quella del secondo ad assumere i tratti di un testamento spirituale: in essa Petrarca riconosce il suo merito per aver diffuso la cultura umanistica che, secondo lui, determina l’educazione del soggetto e per questo dura per sempre; dichiara di non aver mai approfittato del suo prestigio; rende chiaro lo scopo della sua vita, ossia l’indipendenza nella solitudine e la libertà nello studio; disprezza la sua epoca; critica la Scolastica e l’Averroismo; e infine esprime una volta per tutte il suo amore verso la letteratura e la scrittura.
Durante gli ultimi mesi di vita il poeta laureato si dedicò alla revisione del Trionfo dell’Eternità, scrive l’ultima canzone alla Madonna del Canzoniere e invia a Boccaccio le lettere mai ricevute da questi.
Si consiglia, a questo punto, l’ascolto del brano Vergine bella di Giovanni Pierluigi da Palestrina:
Negli ultimi giorni regala la propria copia delle Confessioni al giovane amico agostiniano Luigi Marsili, sentendosi in dovere in qualche modo di restituirla a un frate in modo da farla tornare a un proprietario adatto. Colpito da una sincope, muore ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374, esattamente alla vigilia del suo settantesimo compleanno e, secondo la leggenda, mentre esamina un testo di Virgilio. Il frate dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino Bonaventura Badoer Peraga è scelto per tenere l’orazione funebre in occasione dei funerali, che si svolgono il 24 luglio nella Chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche.