L’età adulta
Si consiglia, durante la lettura, l’ascolto del brano Non al suo amante più Diana piacque di Jacopo da Bologna:
Sicuramente, l’incoronazione di Petrarca quale poeta laureatus rappresenta uno degli eventi di maggior rilevanza nella vita del medesimo. Egli stesso ci ha lasciato una notevole quantità di informazioni sull’avvenimento: nelle Epistole latine in versi, nella Lettera ai Posteri, nelle Familiari.
Secondo il racconto stesso di Petrarca, il mattino del primo settembre 1340 egli passeggiava per i boschi di Valchiusa, quando gli venne recapitata una lettera del senato di Roma che offriva l’incoronazione poetica. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, gli giunse il medesimo invito da Parigi. Allora il poeta narra di essersi trovato in grande imbarazzo e difficoltà, tanto da rivolgersi al cardinale Colonna, uno dei suoi più cari amici, per ricevere da lui un parere decisivo. Costui gli rispose tempestivamente, esortandolo ad accettare l’offerta romana, consiglio che Petrarca accolse senza alcuna esitazione. La scelta di Roma, per altro, corrisponde a una precisa strategia culturale, ossia quella di far coincidere la gloria letteraria con la missione civile del letterato. La produzione petrarchesca non era ancora particolarmente ampia, tanto da garantirgli un onore così grande, tuttavia la protezione dei Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere bastarono a procurarglielo. Inoltre, prima di partire, il poeta racconta di aver preso accordi col re di Napoli per farsi esaminare da lui stesso. Durante gli ultimi mesi del 1340 e le prime settimane del 1341, poi, preparò la Collatio laureationis, cioè l’orazione che avrebbe pronunciato in occasione dell’evento, che era previsto per il giorno di Pasqua del 1341, l’8 aprile.
Il 16 febbraio 1341, infine, parte accompagnato da Azzo da Correggio alla volta di Napoli, dove viene esaminato per tre giorni dal re angioino, che lo interroga su Livio e su Virgilio e a cui legge alcune parti dell’Africa. L’8 aprile, poi, con una solenne cerimonia venne proclamato poeta, per mano di Orso dell’Anguillara, in Campidoglio.
Gli anni dell’inquietudine tra Valchiusa e l’Italia (1342-1343)
Dopo il periodo dell’incoronazione trascorso tra Napoli e Roma, Petrarca si reca a Parma, dove trova ospitalità presso Azzo da Correggio, suo caro amico e nuovo signore della città. Qui il poeta si accinge a riprendere l’Africa, sotto l’impulso della nuova ispirazione, da tempo sopitasi e nuovamente destatasi in lui alla vista della bellezza del bosco di Selvapiana, nei pressi del fiume Enza. Lavora anche al De viris illustribus, sperando così di sostenere l’ottenuto riconoscimento poetico. Inoltre, è probabile che verso la fine del 1341 Petrarca riprenda i Trionfi aggiungendo un quarto capitolo al Triunphus Cupidinis. In questo periodo molto intenso trapela già la crisi che travaglierà il poeta successivamente.
Sempre durante questo primo soggiorno parmense, è probabile che il poeta abbia dettato la canzone CXXIX del Canzoniere, che riprende il tema, già sviluppato in una lettera a Giacomo Colonna, della presenza della donna amata anche nella sua lontananza.
Da Parma, dunque, Petrarca si reca ad Avignone, all’inizio della primavera del 1342, dove scrive la prima lettera delle Sine nomine, un violento attacco a papa Benetto XII, colpevole di essere rimasto ad Avignone, città della corruzione per eccellenza nella mentalità del poeta, invece di ritornare a Roma.
Pare che Petrarca abbia trascorso la maggior parte del tempo ad Avignone, con suo grande rammarico, in quanto si sente obbligato a vivere nella confusione e nella corruzione cittadina, lontano dalla natura dolce e silenziosa da lui tanto amata.
Ai primi del 1342 viene a sapere che Dionigi da Borgo San Sepolcro è morto.
Ancora nel 1342, spinto da una sempre più intensa passione per gli studia humanitatis, intraprende lo studio del greco sotto la guida del monaco calabrese Barlaam. Inoltre, in questo stesso periodo dà inizio all’ elaborazione del Canzoniere: dal Vaticano latino 3196, il “codice degli abbozzi”, seleziona alcuni componimenti che hanno ormai la sua approvazione e li trascrive uno alla volta sui fogli che ha predisposto per costituire il manoscritto fondamentale del libro. I componimenti, però, non vengono solo scelti, rivisti e trascritti, ma anche disposti secondo un criterio artistico e secondo un progetto unitario, facendo in modo che l’opera assumesse un preciso ritmo di contenuti e stile. Ecco che, dunque, gli sparsi fragmenta vengono inseriti in un disegno organizzato.
Un altro fatto fondamentale di questo periodo è l’incontro, avvenuto nell’autunno del 1342 ad Avignone, con Cola di Rienzo, che si è recato nella città francese in qualità di ambasciatore del nuovo governo popolare di Roma, al fine di ottenere l’approvazione del Papa. L’avvento del tribuno romano ad Avignone viene dettagliatamente descritto dall’Anonimo romano nella sua Cronica, che insiste sulle gravi accuse mosse da Cola dinnanzi a Clemente VI nei confronti della nobiltà, responsabile a suo giudizio delle condizioni deplorevoli in cui la città si era venuta a trovare.
Un anno di svolta nell’animo del Petrarca fu il 1343. Infatti, dopo la morte di re Roberto d’Angiò in gennaio, nell’ aprile di quell’anno il fratello Gherardo, con una decisione improvvisa, si fa monaco nella Certosa di Montrieux. In realtà, a quanto sembra, i due fratelli sono in stretto contatto fra loro e più volte Gherardo scrive al poeta del suo proposito, ma la decisione conclusiva giunge repentina, dopo che hs compiuto una visita alla grotta di Sainte-Baume, dove, secondo la leggenda, era rimasta per trent’anni Maria Maddalena. Per Francesco questo è un evento traumatico, che lo costringe a un lungo periodo di crisi, in cui riconsidera la sua vita e i suoi ideali (primo fra tutti la gloria poetica). La scelta del fratello, infatti, ai suoi occhi diviene il simbolo di una scelta di vita a lui consapevolmente e dolorosamente preclusa, in seguito al predominante interesse che prova per l’attività culturale e per le passioni umane e terrene. È, pertanto, in questo momento che Petrarca inizia la costruzione del mito personale, che negli anni va perfezionando e che ben ci testimonia, dal Secretum sino all’epistola Posteritati, la travagliata evoluzione dell’animo del poeta in tutta la sua dimensione peccaminosa, sedotto dalla carne e dal desiderio eccessivo di gloria. Una testimonianza di questa consapevolezza è l’epistola a Dionigi di San Sepolcro in cui il poeta descrive l’ascesa al Monte Ventoso.
Nel 1343 gli nacque la figlia Francesca da un’ignota compagna. Dell’infanzia della bambina non ci è pervenuta alcuna notizia, tuttavia sappiamo che, a differenza del primogenito Giovanni, i rapporti col padre furono ottimi. Verso la metà di settembre Petrarca deve partire per Napoli.
La complicata situazione del Regno angioino e i soggiorni a Napoli e a Parma (1343-1345)
Roberto d’Angiò muore il 20 gennaio 1343 lasciando il Regno di Napoli in una situazione critica. Petrarca stesso, scrivendo a Barbato da Sulmona una lettera di compianto per la scomparsa del sovrano, mostra di rendersene ben conto: “E quanto vorrei, mio caro, che non si avverino i presentimenti che tremano nel mio animo agitato e sempre troppo presago delle sue sventure! […] vedo un regno senza re”.
Il re Roberto d’Angiò, prima di morire, cerca di assicurare la sovranità di Napoli ai propri discendenti, ma il figlio Carlo era morto, gli rimangono soltanto le due nipoti Giovanna e Maria, figlie di Carlo. Temendo le ire del ramo angioino salito sul trono d’Ungheria, fa sposare Giovanna al secondo figlio di Caroberto d’Ungheria e, sul letto di morte, fa giurare ai principi di riconoscere Giovanna quale regina assoluta.
Per ulteriore misura di prudenza istituisce nel testamento un Consiglio di Reggenza che assista la giovane regina fino alla sua maggiore età. Di tale Consiglio fanno parte la regina madre Sancha, Philippe de Cabassole, nella sua qualità di vice cancelliere del regno, e tre nobili.
Prima dell’attuazione di tali risoluzioni, Petrarca riceve dal cardinale Colonna l’incarico di recarsi a Napoli: suo compito è quello di intercedere presso la regina Sancha per la liberazione dei Pipino, conti d’Altamura, impegnati, sin dal 1338, in una guerra contro una famiglia rivale, sfociata in aperta ribellione al re. Nel 1341, soffocata la ribellione, i Pipino vengono imprigionati in Castel Capuano e le loro proprietà confiscate e vendute, e il cardinale Colonna, interessato alla loro liberazione, e con l’appoggio papale, prega Francesco Petrarca di recarsi a Napoli con una lettera di Clemente VI per ottenere la scarcerazione dei prigionieri.
Dopo una sosta a Roma, Petrarca a Napoli si reca immediatamente al cospetto delle due regine Sancha e Giovanna e partecipò al Consiglio di Reggenza per dare il proprio appoggio alla richiesta di liberazione dei fratelli Pipino, che viene respinta. A questo punto riparte. La corte napoletana è descritta in una epistola al Cardinale Giovanni Colonna.
Durante il viaggio verso Parma, Petrarca scrive un’epistola metrica a Barbato, celebrando Selvapiana, il suo Elicona italiano. Cita anche l’Africa e un’opera nuova che sta per aggiungersi al poema, quasi certamente i Rerum memorandarum libri.
A Parma rimane più di un anno, fino a quando, per le mutate circostanze politiche, lascia la città avventurosamente nel 1345.
La difficile situazione politica dell’Italia
Petrarca desidera più che mai stabilirsi in Italia, ma la situazione politica lo induce a recarsi in Provenza ed esprime il proprio dolore e il proprio sdegno per una situazione tanto irragionevole, dichiarando apertamente la propria disapprovazione per la gestione del potere da parte dei signori d’Italia.
Nella celebre canzone Italia mia sottolinea l’insensatezza delle lotte che coinvolgono le belle città e deplora il costume di assoldare mercenari stranieri, inaugurando così quel tema che avrà un notevole sviluppo nella cultura dell’Umanesimo politico, soprattutto nell’opera di Machiavelli.
Verona (1345)
Petrarca abbandona dunque Parma assediata e il racconto di questa fuga è consegnato in una lettera a Barbato scritta a Bologna. Nella biblioteca capitolare di Verona fa una scoperta importantissima: i sedici libri delle lettere di Cicerone ad Attico, Quinto e Bruto. L’euforia lo porta a copiare lui stesso le pagine ritrovate e questo lavoro gli dà la possibilità di scoprire un Cicerone inedito, pieno di contraddizioni politiche e psicologiche.
Valchiusa (1345-1347)
Dalla fine del 1345 al 1347 Petrarca, tornato ad Avignone, rimane quasi sempre a Valchiusa, il suo amato rifugio transalpino, in compagnia di un giovane parente ed amico, Franceschino degli Albizzi.
Francesco in quel periodo compone il De vita solitaria, opera ispirata all’ideale di una vita tranquilla in mezzo al verde della natura. Durante l’estate comincia ad elaborare anche alcune egloghe latine, che in futuro raccoglie nel Bucolicum Carmen. All’inizio del 1347 Petrarca va a trovare il fratello Gherardo per la prima volta da quando quest’ultimo è diventato monaco certosino, e viene accolto nel monastero di Montrieux;
qui passa un giorno e una notte di pace assoluta, che gli ispirano la composizione del De otio religioso, trattato che esalta la vita in cui sia stata eliminata ogni preoccupazione derivante dalle vicende terrene. In questo periodo decide di abbandonare Valchiusa e di trasferirsi in Italia; a questo proposito scrive, tra le altre, un’egloga in cui spiega i motivi che lo inducono a fare ciò: uno di essi è la corruzione della corte papale. Prima di partire compone inoltre un’altra egloga riguardante Cola di Rienzo, il singolare personaggio che Petrarca ha già incontrato in Francia.
Cola si è recato, con il consenso del consiglio di Roma, dal Papa, con la richiesta di fondare un nuovo governo democratico. Tornato a Roma senza aver concluso nulla, fa scoppiare la rivoluzione e si fa nominare dal popolo capo di governo e tribuno. Petrarca riceve con gioia queste notizie e ripone in Cola tutte le sue speranze di riportare Roma all’antico splendore. Ma l’avventura del tribuno si concluderà con il suo assassinio nel 1354.
Il 1348: l’anno della peste
Nel frattempo, Francesco abbandona la Provenza e si reca prima a Verona, dove incontra alcuni suoi amici e suo figlio Giovanni e poi di nuovo a Parma. Qui lo raggiunge, il 19 maggio, la notizia della morte per peste della sua amata Laura: la disperazione per la sua scomparsa è ben evidente in una nota che egli scrisse sul suo codice di Virgilio; durante questo periodo di dolore compone alcune poesie in cui emerge la sua profonda tristezza. La morte di un’altra persona a lui cara, il cardinal Colonna, viene ad angosciarlo ulteriormente.Tormentato dalla perdita di così tante persone care, scrive diverse egloghe sulla peste e sulla morte di Laura; a questo proposito compone il terzo Trionfo, quello della morte, fatto che testimonia come il 1348 sia stato per Petrarca l’anno della rovina e della disperazione.
Parma, Padova e Mantova (1349-1350)
Dopo essere diventato arcidiacono della cattedrale di Parma, decide di accettare l’invito di Iacopo da Carrara, signore di Padova, e di trasferirsi in questa città. Accolto con grandi onori, ottenne subito anche il posto di canonico della cattedrale e fece amicizia con Ildebrandino Conti, vescovo di Padova. Non si ferma a lungo in città, infatti fa brevi soggiorni a Parma e a Mantova.
Il pellegrinaggio a Roma (1350)
Nel 1350 l’anno del Giubileo, Petrarca decide di recarsi in autunno in pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio si fermò a Firenze, dove Boccaccio, venutolo a sapere, gli va incontro e lo invita a fermarsi presso di lui; questo fatto viene narrato dallo stesso Petrarca in una lettera scritta all’amico (Familiares, XXI, 15), nella quale egli ricorda il loro primo incontro avvenuto verso sera: in quel momento Boccaccio finalmente vede il poeta che desidera intensamente conoscere e che ammira tanto, mentre Petrarca, dal canto suo, si commuove profondamente per l’affetto ricevuto, che egli riteneva di non meritare. A Firenze il poeta conosce altri suoi ammiratori. Durante il viaggio di ritorno da Roma passa per Arezzo, dove rivede la casa in cui è nato, e per Firenze, per tornare alla fine dell’anno a Parma.
Parma e Padova (1351)
Da Parma il poeta si trasferisce a Padova, dove si impegna principalmente in questioni politiche, scrivendo, tra l’altro, un’importante lettera a Carlo IV, re di Boemia e futuro imperatore: Petrarca lo esorta a venire in Italia e a porre la sua sede a Roma. Prima di lasciare Padova, gli si presenta il problema se recarsi a Firenze, dove viene invitato dagli amici e gli si prospetta una cattedra universitaria, o ad Avignone, che alla fine sceglie.
Gli ultimi anni a Valchiusa ed Avignone (1351-1353)
Arrivato a Valchiusa, vi si ferma per tutta l’estate del 1351, senza però recarsi ad Avignone dal Papa, motivo principale del suo spostamento. Qui si mette al lavoro per completare in primo luogo il De Viris Illustribus, che ha cominciato molti anni prima; scrive poi diverse poesie, ora incluse nel Canzoniere, che esprimono il dolore per la morte di Laura, dolore tanto più forte quanto più il poeta si trova vicino al luogo in cui ella ha abitato. All’inizio dell’autunno il Papa lo manda a chiamare per offrirgli la carica di segretario papale; quando però egli rifiuta temendo che quel posto limiti di molto la sua libertà personale, il Papa, desideroso che egli entri nel suo ambiente, cerca di persuaderlo a divenire vescovo, offerta che il poeta nuovamente respinge. Durante la sua permanenza ad Avignone si occupa anche di risolvere alcuni situazioni di carattere politico.
Tornato a Valchiusa ricomincia a pensare con nostalgia all’Italia. Prima di partire per la penisola si reca al monastero di Montrieux per visitare il fratello Gherardo; va poi per l’ultima volta ad Avignone, dove si congeda dai cardinali che conosce e da alcuni suoi amici. Di lì a poco comincia il viaggio, portando con sé quasi tutte le sue opere: in Italia spera di trovare un rifugio sicuro per se stesso e per i suoi libri.
Il soggiorno milanese e l’attività politica (1353)
Petrarca parte allora per Milano, ricercando, così, la protezione dei Visconti, fatto che turba i suoi amici fiorentini e Boccaccio in particolare. È così che il poeta prende alloggio accanto alla basilica di S. Ambrogio in una casa dotata di una bellissima vista sui campi e le Alpi, che riproduce un po’ l’atmosfera che tanto fu cara al suo otium, un locus amoenus abitato da un intellettuale solitario ma operoso.
Al servizio dei Visconti, sbriga la corrispondenza ufficiale e svolge missioni per loro conto. Petrarca è costretto a recarsi a Venezia come loro inviato nei primi mesi del 1354 e proprio nel corso di questa spedizione lo scrittore pronuncia davanti al Consiglio ducale un’orazione in cui invoca la pace per l’Italia.
Un’altra nota missione di Petrarca è quella effettuata a Mantova nel dicembre del ’54, dove incontra l’imperatore Carlo IV. Questi chiede a Petrarca che gli faccia avere qualche copia dei suoi scritti. Il 4 gennaio 1355, poi, l’imperatore si sposta da Milano a Mantova, dove viene incoronato re d’Italia in S. Ambrogio e lo scrittore presenzia con gioia alla cerimonia. All’inizio del 1356, dopo lo scoppio di una rivolta a Bologna, i signori di Milano inviano Petrarca a Praga dall’imperatore, affinché si adoperi per la pace lombarda. Il poeta è ben lieto di questo compito, se non altro perché gli dà la possibilità di rivedere Carlo. Lungo il suo viaggio verso Praga, Petrarca si ferma anche a Udine, dove soggiorna nel castello dei Patriarchi. Giunto a destinazione, viene nominato conte palatino e ha modo di constatare la diffusione della cultura umanistica anche in zone da lui ritenute “barbare”.
Tornato dalla sua missione, lo scrittore si stabilisce nuovamente a Milano.
In questo periodo completa la raccolta delle Sine nomine, lavora al De otio e amplia il De vita solitaria, copia il Bucolicum carmen, lavora strenuamente all’epistolario. Un’operosità straordinaria, dunque, che vede Milano come il luogo in cui quasi tutte le opere petrarchesche acquistano la loro fisionomia definitiva, anche se l’autore continuerà a lavorarci su fino alla fine.
Successivamente, nel 1459, Boccaccio è suo ospite a Milano: è un incontro di grande intensità intellettuale.